Venezia, quattro novembre del ’66. Notte, l’acqua alta non cala, non cala. No “varda la cresse ancora”, e ancora. Va tutto sotto, l’acqua arriva dovunque, anche dove nessuno l’aveva mai vista. E onde frangenti dal Bacino arrivano fin davanti alla Basilica. In Piazza gli stivali, anche quelli alti al petto, non servono e allora ci si spoglia, ma fa freddo e l’acqua è gelata. Si arranca fino alla Loggetta, sotto il campanile, ma le raffiche di bora ti scrollano facendoti battere i denti. La porta del campanile è chiusa, sotto le Procuratie Nove ci sono trenta centimetri, non c’è riparo. Qualche incosciente entra in barca. Che disastro. Aqua granda l’hanno chiamata. Ed è stata una tragedia, lì e allora. Ma soprattutto dopo. “Salviamo Venezia!” Poi, a qualcuno viene l’idea, qualcuno vede un’opportunità: “e se noi…”. Patatrac! E la corsa comincia. Montanelli, le contesse, i Comitati, la Legge Speciale…
Io c’ero, giovane, entusiasta, inesperto ma dall’inglese fluente, emotivamente coinvolto. Scrissi questa cosa nel ’73, nel pieno delle campagne di crowd-funding, le raccolte fondi per restaurare, ripristinare, proteggere, con qualche ambiguità. E ne fui coinvolto.
Qualcosa di utile per ricordare…