Qui finisce l’articolo per il mio giornale, uscito il 5 gennaio del 1988. Il mistero, la magia, il folclore. L’Oriente pittoresco che la nostra cultura occidentale superficialmente conosce ed ingenuamente ama. Ma non finiva qui. Qualche giorno dopo questo evento, finite le ultime riprese fotografiche, aggiornati i miei taccuini (pensavo di farci un libro) e salutati i miei nuovi amici, sono salito su un piccolo bimotore da Denpasar alla volta di Giakarta per tornare a casa. Con l’animo sempre leggero ho fatto il check-in e, in attesa della chiamata, ho vagabondato per le botteghe del duty-free. Sono stato catturato da una gioielleria che vendeva soprattutto giada: collane, braccialetti, piccole sculture. Tra le vetrinette ce n’era una con gioiellini d’argento, elefantini, uccellini, pendaglietti da braccialetto. Mi volto e vedo un anello. Ma non un anello qualsiasi, uno che era identico al mio. Ho fatto un sobbalzo. Ed ho cominciato a ridere, e a ridere. Fino alle lacrime, che si sono voltati tutti. Poi la chiamata all’imbarco. In volo ripensavo alla mia storia; comunque, mi era andata bene; la vecchia cinese me lo aveva venduto per trenta dollari, al duty-free ne volevano 180. Avevo vissuto una piccola avventura, conosciuto gente fantastica, avevo la borsa piena di foto eccellenti, e il “malukat”, fosse quel che fosse, col senno di poi, aveva funzionato…