BALLETTO

UN FOTOGRAFO E CENTO BALLERINE

Mi è capitato di conoscere Elisabetta Terabust, di parlare a lungo con lei, di vederla lavorare. Non ero un amante del balletto classico, non conoscevo l’ambiente; in una parola ero un neofita alieno. Quello che ho imparato da lei è che per una giovinezza perduta attaccata ad una sbarra a soffrire, i piedi sanguinanti, e a sudare, circondata di vipere e serpenti, ti venivano donati dieci, quindici anni di ebbrezza e di applausi e molto rapidamente l’oblio. La signora Terabust era fatta d’acciaio, più dentro che fuori, anche se a sfiorarle una spalla, ti accorgevi che il muro era più tenero. In quel periodo, dopo un’apoteosi fantastica con Roland Petit, era stata chiamata alla Scala -ambiente estremamente difficile- dove ha dovuto lottare per tutto il tempo. Aveva ballato con Erik Bruhn e col suo amante, Rudolf Nureyev; era stata richiesta a Londra. Aveva avuto successo ovunque. Lei piccolina, magra magra, quando era in scena era una forza. E ha ballato tutto, dai classici russi di Petipas alle avanguardie moderne. Di lei dicevano che non si lagnava mai, era sempre decisa e determinata. Ed è stata lei a raccontarmi dell’ambiente, dei suoi rapporti con Carla Fracci e con Bejar , e di come aveva conosciuto Murru e Bolle. Lei non me lo aveva detto, ma avevo saputo che era stata proprio lei a far diventare i due grandi ballerini, due ètoiles. Le avevo fatto delle foto per le locandine di due spettacoli, uno a San Remo e l’altro a Nervi. E poi ho passato con lei una intera mattina in un cortile a San Remo dove stava facendo le prove a scattare un po’ di foto in bianco e nero Le ho ritrovate di recente, ma non sono mai state viste da nessuno e che pubblico qui sotto. Poi l’ho persa di vista, lei è finita a dirigere la sua “casa” di origine, l’Opera di Roma.

Nel 2018 ho saputo che lei, un anno più giovane di me, era morta. Memore della sua gaiezza e della sua amabilità ne sono rimasto addolorato.

Il nostro comune amico, Mario Porcile, una potenza internazionale nel mondo del balletto, si era dato per missione di farmi innamorare della danza classica. Mi ha trascinato a Milano dove mi ha fatto conoscere Carla Fracci e Beppe Menegatti, una cena insieme e via e poi, l’indomani alla Scala per la “morning class” del corpo di ballo. Poche foto, ragazze inavvicinabili, spocchiose, quasi tutte lombarde legnose.

In quei giorni ero stato presentato da Porcile a un dirigente del Regio di Torino che stava tentando il rilancio della sua Scuola di Ballo. Questo signore -di cui non ricordo il nome- mi chiese se mi andava di seguirlo per fare delle foto alle sue ragazze. Lo feci. Non fu né divertente, né facile, ma con la mia Hasselblad SWC a mano libera e senza flash azzardai un paio di serie di scatti, un 5 o 6 rullini 100 ASA da dodici a tutta apertura.

Non ci contavo, ma qualcosa era venuto fuori. Gli mandai le stampe e lui mi telefonò subito: “Facciamo una mostra!”. Non ero molto convinto ma stampai una ventina di scatti un metro per un metro, le montai su dei pannelli di multistrato e gliele portai. Ne era entusiasta. Non ne seppi più nulla, credo avessero organizzato l’esposizione in qualche parte del teatro, che le fotografie erano molto piaciute e che qualche ballerina aveva chiesto di poter tenere uno o due pannelli. La missione di Mario Porcile con me finiva lì, con un quasi fallimento. Il mio amore per la danza era sfiorito.

Qui sotto alcuni scatti di quell’avventura infelice.

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