VENEZIA SERENISSIMA – 2

VENEZIA SERENISSIMA

(seconda parte)

Una storia di uomini,

di mare e di navi

Le quattro anime della città, spirituale, militare, politico-amministrativa e commerciale erano situate lungo uno stesso asse, da est a ovest, in quattro nuclei collegati ma distinti: Olivolo (San Pietro di Castello), sede del Patriarca, l’Arsenale con la sua milizia e i cantieri navali, San Marco con il Palazzo Ducale e gli apparati dello Stato e infine Rialto, sede delle attività commerciali.

L’Arsenale fu visitato da Dante che ne rimase talmente impressionato da descriverlo diffusamente nel canto XXI dell’Inferno. In effetti si trattava della più grande «fabbrica» di tutto il Medio Evo, organizzata in modo assai moderno, con metodi di costruzione a catena di montaggio che permettevano di realizzare galere e cocche in tempi brevissimi. Da qui uscivano le navi dei convogli che avrebbero fatto rotta per l’Egeo, il Mar Nero, la Palestina e la Fiandra con a bordo soldati, rematori, mercanti e merci.

All’arrivo delle flotte stagionali, il mercato di Rialto brulicava di uomini d’affari di mezzo mondo, banchieri e merciai, grossisti di cereali e di cotone. L’oro e l’argento venivano scambiati con pepe e cannella, i broccati siriani con le stoffe inglesi. Nelle botteghe si usava la partita doppia, la cambiale, la polizza di carico.

La “forma urbis”

e l’architettura

L’antica Rivo Alto si trasformò rapidamente in Rialto: altrettanto rapidamente le casupole di legno e canne divennero palazzi. Si usarono le antiche pietre di Oderzo e di Heraclia, di Altino e di Torcello. Poi, con ogni carico delle navi che tornavano dal Levante, vennero a Venezia marmi siriani e alessandrini, greci e turchi. Colonne di templi, capitelli, frammenti significativi di antiche e nuove rovine erano insieme zavorra, bottino di guerra e simboli di potenza e di splendore. Dalle colonie di terraferma vennero la Pietra d’Istria per i palazzi e la trachite dei Colli Euganei per i selciati.

La città crebbe lungo i canali, per molto tempo le sole vie di traffico; i nobili e gli abbienti costruirono sontuose dimore. I palazzi erano casa, ufficio, magazzino, albergo e fortezza insieme. Immagine orgogliosa di stabilità e solvibilità finanziaria.

Vennero architetti famosi, dal Codussi al Palladio, pur se il «gotico fiorito» dalle bifore trilobate e dalle trine di marmo, quello di Palazzo Ducale e della Cà d’Oro, rimase lo stile veneziano per eccellenza.

Meta obbligata

del “grand tour”

La vita della città pulsava di scambi commerciali, di manifatture, di botteghe, fitta di gente oltre l’immaginabile. Vi affluivano nobili e mercanti, artigiani ed artisti da tutto il mondo. Venezia era una capitale: una città ammirata, stupefacente anche per i viaggiatori più smaliziati. Venezia amava mostrarsi splendida con gli ospiti: ai re e agli ambasciatori organizzava cortei per il Canal Grande, lasciando visitatori stupiti e ammirati dallo sfarzo delle dimore nobiliari. Al suo popolo concedeva momenti di libertà incontrollata, consentendogli di mescolarsi, in maschera, alle classi più potenti.

Già in antico Venezia era meta turistica, luogo di rutilanti avventure. Le tre fiere annuali di Rialto si intercalavano con le feste — della Sensa, del Carnevale, del Redentore nelle quali Venezia profondeva tutta la sua vitalità.

Più tardi furono i commedianti e il loro teatro a creare nuove situazioni di svago. Arlecchino, Pantalone. Colombina si mescolarono sulla scena e nella vita alle sinistre «baute» dei nobili, in una continuità teatrale tipicamente veneziana.

I veneziani

e il turismo

Le facce che si incontrano qui sono rimaste, come le pietre, le stesse nel tempo. Girando per la città — a Rialto o a Castello — si incontra il popolo, la gente. Tipi che hanno fretta, che appaiono da dietro un angolo e scompaiono velocemente lungo percorsi che hanno parvenza di labirinti. E a questi si mescolano i «nuovi veneziani», quelli che oramai hanno preso stabile possesso della città ducale, i turisti.

È gente che viene a stupirsi, smaliziata o sprovveduta, della storia, dell’arte, del mito di questa città strampalata e bellissima, curiosamente acquatica. Ognuno ha la sua ragione per venire: per Venezia vi sono infinite ragioni, infiniti luoghi comuni.

A Carnevale la folla è un’ebbrezza. Al Redentore e alla Regata ci si ritrova in barca, nuovamente folla. Poi, un po’ più in là, qualche giorno  prima e qualche giorno dopo, la vita si svolge quotidiana, dentro e fuori casa; non più da estranei, per le strade, ma esclusi dalle facciate chiuse.

Veneziani si nasce; veneziani si diventa. Ci sono quelli che hanno dovuto andarsene e quelli che vogliono venire. Appartenere a questa città è difficile per tutti.

Il fascino antico

di una città acquatica

Chi distingue la Venezia ufficiale da quell’altra, cosiddetta «minore», cade per l’ennesima volta nel luogo comune. C’è una unica, sola, grande, sfaccettata Venezia. La città di monumenti e palazzi esiste solo perché c’è quell’altra di piccole case, di calli lontane e di campielli solitari. E viceversa.

Il tessuto urbano è fitto, quasi un labirinto, ricco di angoli appartati, suggestivi nella loro semplicità. Poi, appaiono i simboli eclatanti: i palazzi, i monumenti, le chiese. Simboli, appunto. I campi si aprono all’improvviso, vivaci di gente; i canali scompaiono silenziosi tra le case; le calli tortuose conducono chissaddove i radi passanti. Clamore e silenzio, contemporaneamente. Questa è l’anima della città: nel dedalo di viuzze come sul Canal Grande. Gli scenari sono irregolari e asimmetrici, un gioco urbano casuale che ha assecondato gli antichi canali della laguna. Eppure la città è cresciuta funzionale al suo modo di esistere, in simbiosi con l’acqua; a misura d’uomo, come si dice, anche se i tempi e l’uomo sono ormai cambiati. Ma è anche artificio, macchina teatrale capace di creare sentimenti contrastanti, ammirazione e languore, malinconia e disagio.

Il mondo magico

delle lagune

Non molto lontano ci sono la laguna, le isole separate, i canneti delle barene. Un’altra sfaccettatura, forse più ingenua e più vera dell’unica Venezia: Pellestrina, Poveglia, San Lazzaro, oppure Burano, Torcello, Murano e tanti altri luoghi.
Case basse e variopinte, sfumature dialettali, antichi mestieri, ritmi di vita più lenti caratterizzano questi posti, questa gente. Domina su tutto, anche se da lontano, la sagoma in controluce del campanile di San Marco.

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